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Flavio R.G. Mela

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Miti & Leggende. Il tesoro dei sette regnanti di Monte Navone.

Il Monte Navone (Nella strada tra Piazza Armerina e Barrafranca), di cui altre volte abbiamo parlato per i misteri che aleggiano intorno ad esso, viene nuovamente preso in considerazione per una storia che ci è stata segnalata dal Signor Carmelo Orofino, curatore del blog Letteratura e cultura siciliana te Nav (www.sicilmente.blogspot.com). Carica di un fascino prettamente nord-europeo, è una favola per bambini, avventurosa e carica di mistero.
Il Veltro.blog ringrazia il Signor Orofino per questo contributo di fantasia.


Il tesoro dei sette regnanti di Monte Navone del Sign. Carmelo Orofino


Visse un tempo, nell'antica città di Monte Navone, un re molto ricco e potente, che aveva accumulato nelle sue casse i tesori di sette regnanti della sua dinastia. Poiché non aveva eredi si fece seppellire nella grotta dei re con tutti i suoi forzieri. Dopo di lui si succedettero altri re ed altre dinastie, ma nessuno mai osò profanare la tomba, pur sapendo del tesoro, temendo di incappare in qualche insidia nascosta.
Dopo tanti secoli un pastore, avido e spavaldo, reso cieco dalla bramosia dell'oro, tentò la sorte. Penetrò nella grotta, all'insaputa di tutti, con una fiaccola accesa e un piccone. Vincendo la paura, ad ogni passo, s'inoltrò nello stretto cunicolo, fin quando arrivò ad un muro che ostruiva l'ingresso della tomba. Per quanti colpi di piccone desse sulla parete, non riuscì minimamente a scalfirla. Allora ebbe paura. Ma l'avidità ebbe il sopravvento. Si mise a tastare le pareti per cercare qualche crepa, quando all'improvviso un pezzo di muro girò su sé stesso. Entrò ed il suo sguardo fu subito attratto dal sarcofago di marmo che troneggiava al centro dell'antro e più ancora dalla statua sdraiata sul coperchio. Era la statua del re, arcigno in volto e col dito minacciosamente puntato verso l'ingresso. L'avaro pastore si avvicinò sfuggendo lo sguardo del re e tentò di alzare la lastra che chiudeva il sarcofago. Non riuscendovi diede mano al piccone. Il sudore gli imperlava la fronte, la paura gli tagliava le gambe, ciò nonostante continuò il suo macabro lavoro, fino a frantumare il co¬perchio. Guardò all'interno: il tesoro c'era! Alla luce della fiaccola l'o¬ro mandava dei riverberi rossastri. Affannato e cupido si sporse per riempirsi le mani, ma l'oro scomparve all'improvviso, trasformandosi in gusci di lumache. Atterrito frugò fra i gusci e fra le ossa, ma non trovò che una lapide. Avvicinò la fiaccola e lesse: “Se non fossi stato tanto avaro, non avresti violato la pace dei morti”.

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